Fu uno dei primi e più noti esempi di fake news destinate a stravolgere l’esito delle elezioni. Nel 1924, Lord Rothermere, proprietario del Daily Mail di Londra, non aveva dubbi che fosse riuscito a vincere le elezioni del Regno Unito. Una settimana dopo le elezioni, scrisse al suo rivale, Lord Beaverbrook del Daily Express, che la cosiddetta Lettera Zinoviev era costata al partito laburista circa 100 seggi e aveva quindi contribuito alla sua schiacciante sconfitta da parte dell’opposizione conservatrice.
La Lettera Zinoviev era un documento contraffatto che il partito comunista britannico, allora marginale nella politica elettorale, avrebbe ricevuto da Grigory Zinoviev, capo del Comintern sovietico. Il documento sosteneva la necessità di “agitare le masse del proletariato britannico” e di fare propaganda tra le forze armate per “paralizzare i preparativi militari della borghesia”.
In realtà sembra che la lettera abbia avuto un ruolo marginale nella vittoria dei conservatori nel 1924, infatti i laburisti ottennero un milione di voti in più rispetto alle elezioni generali dell’anno precedente. I fattori decisivi furono il successo dei conservatori nel superare una spaccatura interna e un crollo del voto liberale.
Ruolo delle fake news nelle elezioni
Come ci ricorda Tony Barber sul Financial Times, oltre 70 paesi sono andati o andranno a votare quest’anno, con una partecipazione che rappresenta circa la metà della popolazione adulta globale. E a distanza di un secolo, nelle democrazie, la percezione che le fake news, la disinformazione e le teorie del complotto possano influenzare le elezioni è diffusa quanto lo era nel Regno Unito nel 1924.
Tuttavia, suggerisce l’opinionista del quotidiano finanziario, la nostra fondata avversione per le fake news non dovrebbe far ingigantire la loro importanza o temere che le democrazie siano impotenti di fronte a esse.
L’impatto delle fake news non è così drammatico
Nonostante le fake news rappresentino una reale minaccia, spesso abbiamo assistito a casi in cui il loro impatto è stato davvero minimo. Dopo le elezioni presidenziali statunitensi del 2016, ad esempio, in cui si è parlato di ingerenza russa sui social media, alcuni ricercatori hanno stimato che circa il 25% degli americani aveva visitato un sito di fake news nelle sei settimane precedenti il voto. Tuttavia, solo il 10% dei lettori aveva effettuato il 60% delle visite a tali siti, dato che ha spinto i ricercatori a sostenere che le fake news non sono ancora al centro del consumo di notizie. L
La vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton avrebbe quindi radici più profonde della sola manipolazione russa, anche se la candidata dem non aveva torto nel sottolineare la minaccia di un “epidemia di fake news” sui social media.
Le democrazie possono contrastare efficacemente le fake news
Un esempio positivo è l’elezione di Taiwan di gennaio. Lai Ching-te, candidato del partito Democratic Progressive, ha prevalso nonostante una vasta campagna di disinformazione orchestrata dalla Cina. Secondo un gruppo di ricercatori, i funzionari addetti alle elezioni, i media locali e i fact checker hanno fatto un ottimo lavoro nel contrastare l’attacco cinese.
Altre volte, le fake news possono sembrare del tutto superflue rispetto al risultato desiderato. Ad esempio, durante le elezioni nel Regno Unito del 2019, i conservatori manipolarono un video per far sembrare che Sir Keir Starmer non fosse in grado di rispondere a una domanda sulla Brexit e, tra le altre cose, cambiarono immediatamente il nome del loro account Twitter in “factcheckUK” per offrire un servizio di verifica dei fatti indipendente. Tutte iniziative che risultarono superflue ai fini elettorali, poiché gli elettori britannici erano già delusi da Jeremy Corbyn, il leader radicale di sinistra dei Laburisti.
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