Le recenti elezioni in India hanno visto sempre più protagonisti i social media, con il BJP (partito del primo ministro Modi) e i suoi sostenitori che hanno fatto un uso massiccio di queste piattaforme, sollevando preoccupazioni per la disinformazione e i duri attacchi contro gli avversari politici.
Dall’insediamento al governo nel 2014, il BJP ha saputo sfruttare efficacemente piattaforme come X (ex Twitter), Facebook, WhatsApp, e più di recente YouTube, per rafforzare le proprie campagne. In particolare, le elezioni del 2014 sono state soprannominate “elezioni di Twitter”, mentre quelle del 2019 “elezioni di WhatsApp”.
Quest’anno, la campagna elettorale è andata oltre X, Facebook e WhatsApp per includere YouTube, con l’invasione dei deepfake. Campagna che ha accentuato il divario digitale tra il BJP e gli altri partiti, che non sono riusciti a stabilire una presenza online altrettanto forte, come sottolineato da un’analisi dell’Università di Oxford. Interessante notare come, nonostante questo divario, il partito di Modi abbia vinto le elezioni registrando tuttavia un crollo nel consenso.
Il solito problema della moderazione dei contenuti
L’India conta più di 750 milioni di utenti di Internet (314 milioni su Facebook, 362 milioni su Instagram e 535 milioni su WhatsApp, tutti di proprietà di Meta), in aumento del 43% rispetto alle ultime elezioni del 2019. Civil Watch International e Ekō (organizzazione per la responsabilità aziendale) hanno rilevato che annunci contenenti offese e notizie false sono stati sorprendentemente approvati da Facebook, mettendo in discussione gli impegni presi da Meta, la società madre, per prevenire la diffusione di informazioni manipolate durante le elezioni.
La moderazione dei contenuti e la regolamentazione delle fake news rimangono una sfida considerevole. La Commissione Elettorale dell’India ha tentato di promuovere un codice di condotta etico “volontario”, ma si è rivelato inefficace, lasciando spazio alla diffusione di narrazioni pericolose come il “jihad d’amore”, secondo cui gli uomini musulmani seducono le donne indù per convertirle all’Islam, che ha alimentato tensioni interreligiose.
Meta difende la sua politica di non intervenire sui contenuti politici citando la libertà di espressione, ma questa posizione è contestata da esperti che avvertono sui rischi di violenza e discriminazione che ne possono scaturire.
È ormai noto a tutti che la disinformazione e l’incitamento all’odio non solo influenzano il risultato delle elezioni, ma rischiano di dividere ulteriormente la società, trasformando i social media da strumenti di comunicazione a catalizzatori di conflitto. Ma a tale problema sembra non esistere una soluzione efficace.
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