(Nella foto: Davide Casaleggio, Presidente di Casaleggio Associati)
Davide Casaleggio, figura di spicco nel campo della tecnologia e architetto del primo movimento digitale andato al governo in un Paese del G7, ha dialogato con influenti leader mondiali – da coloro che hanno corso alle presidenziali statunitensi ai protagonisti che hanno catalizzato la primavera araba, dai pionieri del voto digitale in Estonia e a Taiwan a figure spirituali di riferimento come il Dalai Lama – per individuare le opportunità e i rischi legati all’intelligenza artificiale e agli algoritmi.
Nel suo nuovo libro, “Gli algoritmi del potere. Come l’intelligenza artificiale riscriverà la politica e la società“, edito da Chiarelettere, Casaleggio esplora le profonde trasformazioni che l’AI sta portando nella società e nella politica, che oggi dispone di strumenti di persuasione senza precedenti. Il libro è un’indagine sulla nuova frontiera della democrazia digitale, mettendo in luce come l’AI possa accelerare cambiamenti sociali ed economici con un impatto rivoluzionario simile a quello dell’introduzione dell’elettricità, ma con una velocità e un raggio d’azione maggiori.
(Carlo Castorina – CC): Nel più grande anno elettorale della storia, l’intelligenza artificiale come trasformerà la politica? E la società?
(Davide Casaleggio – DC): L’intelligenza artificiale trasformerà la politica e la società in modi profondi. In ambito politico, l’AI potrà analizzare enormi quantità di dati elettorali per identificare tendenze, preferenze degli elettori e sentimenti diffusi. Questo permetterà ai politici di personalizzare i loro messaggi e le loro campagne in modo estremamente mirato, aumentando l’efficacia della comunicazione politica. Tuttavia, questa precisione solleva anche preoccupazioni etiche riguardo alla privacy e alla manipolazione delle opinioni pubbliche. Per la società, l’AI potrà facilitare una maggiore partecipazione civica, consentendo ai cittadini di interagire con i processi decisionali in modo più trasparente e coinvolgente. Tuttavia, sarà essenziale garantire che queste tecnologie siano utilizzate in modo equo e responsabile per evitare la creazione di nuove forme di disuguaglianza e controllo sociale.
CC: Nel libro parla di un nuovo umanesimo tecnologico. Cosa intende esattamente?
DC: Con il termine “nuovo umanesimo tecnologico” intendo una visione in cui la tecnologia e l’umanità non sono più in contrapposizione, ma si integrano per migliorare la condizione umana. Questo concetto si basa sull’idea che l’intelligenza artificiale e altre innovazioni tecnologiche possano essere utilizzate per potenziare le capacità umane, promuovere la giustizia sociale e migliorare la qualità della vita. Tuttavia, per realizzare questo nuovo umanesimo, è fondamentale sviluppare un quadro etico e legislativo che guidi l’uso della tecnologia, garantendo che essa sia accessibile a tutti e utilizzata per il bene comune.
CC: Come si colma la lacuna culturale e legislativa che, ancora oggi, ostacola l’integrazione di innovazione e democrazia?
DC: È necessario un approccio multiplo che includa educazione, regolamentazione e collaborazione internazionale. Sul fronte culturale, dobbiamo promuovere l’alfabetizzazione digitale e la comprensione critica delle tecnologie emergenti. Questo può essere realizzato attraverso programmi educativi che preparino i cittadini a comprendere e utilizzare le nuove tecnologie in modo consapevole. Dal punto di vista legislativo, è essenziale aggiornare le leggi esistenti e creare nuove normative che proteggano i diritti dei cittadini e garantiscano un uso etico delle tecnologie. Infine, la collaborazione internazionale può aiutare a stabilire standard globali che promuovano l’innovazione responsabile e la democrazia digitale.
CC: Dalla viralità alla varietà. L’AI può creare campagne di disinformazione in grado di influenzare velatamente le percezioni e le decisioni degli elettori senza che questi se ne accorgano. Questo nuovo tipo di disinformazione è più difficile da individuare rispetto alle precedenti campagne, dato che può variare leggermente il messaggio migliaia di volte, rendendo l’identificazione e la prevenzione più complesse. Cosa fare per disinnescare queste campagne?
DC: Per disinnescare le campagne di disinformazione basate sull’intelligenza artificiale, è necessario un approccio integrato che includa tecnologie avanzate di rilevamento, educazione dei cittadini e regolamentazione. Le piattaforme digitali devono sviluppare algoritmi in grado di identificare e bloccare – o quantomeno segnalare – in tempo reale i contenuti manipolati, utilizzando tecniche come l’analisi del comportamento degli utenti e il rilevamento di pattern anomali. Inoltre, è fondamentale educare i cittadini a riconoscere la disinformazione, promuovendo l’alfabetizzazione mediatica e la consapevolezza critica. Infine, è necessario stabilire normative che impongano trasparenza sulle fonti dei contenuti e responsabilità per chi diffonde informazioni false, garantendo che le piattaforme digitali collaborino con le autorità per prevenire e contrastare la disinformazione.
CC: Cosa pensa dell’algoritmo di TikTok? Il possibile divieto negli Stati Uniti potrebbe estendersi anche in Europa e quindi in Italia?
DC: L’algoritmo di TikTok è uno strumento potente che utilizza l’intelligenza artificiale per personalizzare i contenuti in modo molto preciso, mantenendo gli utenti coinvolti per lunghi periodi. Il possibile divieto di TikTok negli Stati Uniti riflette preoccupazioni legate alla superiorità di adozione del social media rispetto a quelli statunitensi. In realtà credo non abbia senso né negli Stati Uniti né in Europa una politica simile. La concorrenza commerciale ha sempre avvantaggiato gli utenti finali.
CC: Come valuta l’iniziativa di Meta di non raccomandare i contenuti politici sulle sue piattaforme?
DC: È un tentativo di ridurre la polarizzazione e la diffusione di informazioni fuorvianti. Sebbene questa mossa possa contribuire a limitare l’impatto delle campagne di disinformazione e a ridurre la tensione sociale, solleva anche preoccupazioni sulla libertà di espressione e sul diritto dei cittadini di accedere a informazioni politiche rilevanti. È importante che tali decisioni siano trasparenti e che le piattaforme trovino un equilibrio tra la necessità di proteggere gli utenti dalla disinformazione e il diritto all’informazione.
CC: Parliamo di informazione. Gli accordi tra OpenAI e gli editori sembrano rappresentare una nuova e importante fonte di ricavi per le testate, soprattutto per quelle tradizionali. Tuttavia, qualcuno parla di “patto con il diavolo”, sottolineando come tali accordi potrebbero influenzare l’indipendenza editoriale o la qualità del giornalismo. Qual è il suo pensiero al riguardo?
DC: Lo scorso anno negli Stati Uniti hanno chiuso 5 giornali locali ogni due settimane. Questi accordi per addestrare gli oggetti AI sembrano sempre più una buonuscita che un accordo di partnership.
CC: Un’ultima domanda. Il Movimento 5 Stelle è stato anche un esperimento di democrazia diretta digitale. Come valuta oggi quell’esperimento e in generale quell’esperienza? Ritiene che quella della democrazia diretta sia ancora una strada percorribile?
DC: Il Movimento 5 Stelle ha rappresentato un importante esperimento di democrazia diretta digitale, dimostrando il potenziale delle tecnologie digitali per coinvolgere i cittadini nei processi decisionali. Tuttavia, l’esperienza ha anche evidenziato le sfide legate a questo modello, tra cui le paure delle persone che acquisiscono potere e sperano di non doverlo lasciare spesso influendo nel limitare gli spazi decisionali della base. Nonostante queste sfide, credo fermamente che la democrazia diretta digitale sia una strada percorribile. Con gli strumenti giusti e un quadro normativo adeguato, è possibile creare un sistema in cui i cittadini possano partecipare attivamente e consapevolmente alle decisioni politiche, promuovendo una governance più trasparente e inclusiva.